Come sopravvivere nell’era della post-verità (e alle fake news)

In Italia, il termine ‘tecnico’ forse più utilizzato è quello di bufale. L’oggetto è la notizia falsa, cioè una notizia non vera o parzialmente vera che viene diffusa a scopo spesso propagandistico, talvolta anche economico.

Le notizie false sono vecchie come la società. La “più grande bugia storica” per Il Corriere della Sera è quella legata alla Donazione di Costantino — un documento che certificava, secondo Carlo Ginzburg, noto storico italiano, che l’imperatore Costantino si era convertito al cristianesimo in segno di gratitudine verso papa Silvestro che lo aveva guarito miracolosamente dalla lebbra, donando contestualmente alla Chiesa di Roma un terzo dell’impero.

Oggi la diffusione di notizie false è una pratica riconosciuta grazie al web, soprattutto per via della rapidità costitutiva del mezzo. Ma la moderna velocità dello scambio non è accompagnata da un’accurata ricerca delle fonti e della ragione per cui sono considerate autorevoli. Internet offre però degli strumenti in costante evoluzione che possono dare manforte alla buona volontà del cittadino vigilante che non intende fermarsi all’informazione superficiale per considerarsi informato.

La quantità di informazione veicolata tramite internet supera di gran lunga quella dei mezzi di comunicazione del IV secolo, per cui se la pratica legata alle fake news è oggi più riconosciuta è perché la rapidità con cui veniamo a sapere della veridicità di una notizia può essere quasi contemporanea all’apprendimento della notizia stessa. Non solo: l’atto di produrre fake news è diventato notiziabile di per sé proprio perché è un’attività reiterata sul web. È notizia la falsità della notizia e ciò, oltre a rendere nota l’attività di ‘falso newsmaking’, permette di inserire il produttore di tale notizia in una lista nera di fabbricatori inaffidabili di informazione.

È facile immaginare quanto potessero essere gravi le conseguenze di una bufala in tempi passati, quando erano necessari mesi, se non anni, perché una lettera o un documento arrivassero a destinazione. Nel presente e nel prossimo futuro le notizie false non saranno meno pericolose, ma almeno oggi abbiamo la possibilità di ricevere un’informazione e verificarla subito dopo. Non tutti però usufruiscono di questa seconda facoltà e il problema non è tanto di fiducia: è bello che ci sia qualcuno che si fidi di qualcun altro. Il vero problema sta in chi di questa fiducia approfitta, per lucro o propaganda, consapevole di avere un pubblico affezionato che ha delle idee precise e che compierebbe uno sforzo cognitivo considerevole nel cercare di contraddire un messaggio che si confà quasi perfettamente alla propria visione della realtà.

Al pari di – nel caso della Donazione di Costantino – Lorenzo Valla, che nel 1440 dimostrò come il documento fosse in realtà un falso, oggi esistono iniziative e progetti – personali e non – il cui obiettivo è contrastare la falsa informazione tramite un accurato lavoro di ricerca sulle fonti e sulla veridicità dei fatti raccontati. Sono i cosiddetti debunker, o ‘demistificatori’, sarebbe a dire quelli che fanno per noi il lavoro sporco di verificare la correttezza delle informazioni prima di sbandierarle al vento. In Italia abbiamo diversi esempi, da David Puente a Paolo Attivissimo, fino a progetti come Snopes.com (statunitense, uno dei più anziani!) e Bufale.net. C’è anche chi afferma che l’attività di debunking oggi dovrebbe essere fatta meglio, perché non è capace di raggiungere in modo efficace i ‘disinformati’.

Ma cosa sono le fake news se non notizie date da un pulpito, che deve necessariamente confrontarsi con altri pulpiti d’informazione? Se il web 2.0 ci ha insegnato qualcosa d’importante, è che l’informazione non ha più la stessa natura unidirezionale che ha avuto in passato: oggi il numero di attori che possono informare è potenzialmente immenso, tutti gli individui possono partecipare alla costruzione della realtà. È ovvio che ogni individuo, o ente collettivo, avrà un diverso grado di autorità per chi ascolta, che va ogni giorno negoziato nell’ecosistema informativo. Sarebbe un errore dunque considerare aprioristicamente inaffidabile un’informazione data da una persona solamente in base al fatto che il nostro concetto d’informazione onesta/autorevole è quella veicolata dalle maggiori e più famose testate giornalistiche. È vero però che quella notizia – data da un individuo X – assume valore informativo se si inserisce coerentemente nella macro-narrazione, basandosi su assunti verificabili. In mancanza di questi, la notizia non è falsa, ma neanche vera: è, al massimo, verosimile.

Proviamo a trarre una definizione? L’informazione su un argomento è l’insieme delle sue narrazioni che si basano su assunti verificabili.

Ci sono diversi meccanismi psicologici che dal lato del consumatore permettono al ‘bufalaro’ di avere successo. I nuovi media che – per intenzione o meno – si stanno configurando come mezzi d’informazione, seguono logiche di funzionamento che rendono la vita dei ‘disinformatori’ più facile: filtrano i contenuti che riceviamo costruendo attorno a noi una ‘bolla’ di significati, la filter bubble, che difficilmente ammette il contraddittorio. In altre parole, i messaggi che riceviamo automaticamente nel nostro news feed mirano a confermare le nostre opinioni piuttosto che a metterle in discussione. Non a caso Facebook si sta da tempo mobilitando per intraprendere la propria guerra contro le notizie false, e lo sta facendo seguendo la stessa linea teorica e pratica che intendo accennare in questo post: non più segnalare le fake news bensì allargare il contesto.

Fake news non vi temo

Una disamina completa dei casi di bufala sarebbe troppo estesa per i fini di questo articolo. Gli esempi di uso profittevole delle fake news sono facilmente riscontrabili in quei siti che diffondono bufale riguardo argomenti caldi dell’agenda, come l’immigrazione clandestina. L’iter è quello della creazione di una notizia falsa ma verosimile, scritta per attirare visitatori che intendono informarsi e che spesso hanno già un’opinione al riguardo e vogliono rinforzarla. L’obiettivo, lato autore, non è in questo caso quello di plasmare un’opinione né tanto meno informare, ma ricevere visitatori e guadagnare tramite ‘clickbait’ e banner pubblicitari. Viene da sé che qualsiasi contenuto riguardante un qualunque tema di natura politica, soprattutto se caldo e molto dibattuto, può avere influenza sulle opinioni del cittadino/consumatore (a prescindere dall’intento dell’autore).

Per questo motivo l’uso delle fake news può essere molto efficace se a fini propagandistici. Sono molti ad oggi i casi di presunte pratiche scorrette legate all’informazione proveniente dai partiti e loro leader verso i media e/o i cittadini (e viceversa: il meccanismo non è unidirezionale). A livello internazionale i nomi di Putin e Trump hanno avuto una certa risonanza in tema di bufale. Del primo è ben nota la macchina propagandistica che agisce costantemente sulla politica interna ed estera grazie a una “fabbrica dei troll” che inonda blog e social media di contenuti pro-governo (il Russiagate sembrerebbe solo l’ultimo caso di una strategia di fondo).

160525-pepe-trump-tease_omxwrx

Trump Pepe: l’ibrido meme/politico. Credits: The Daily Beast

Trump non è da meno. Il suo kernelliano going public si configura, a differenza di quello di Reagan, come una ricerca del contatto diretto con la cittadinanza non solo tramite le apparizioni del leader carismatico in televisione, ma dalla sua presenza nei più disparati canali mediatici a cui le tecniche del marketing politico possano dare copertura (Trump ha un subreddit ufficiale ed è famoso per gli addetti ai lavori il caso di Pepe the Frog — per citare casi di comunicazione politica tramite mezzi non convenzionali). Tutto questo nel tentativo non solo di ottenere consensi tramite un contatto diretto col cittadino, ma anche in quello non poco ambizioso di sostituire la propria narrazione ad altre che sono già fortemente autorevoli nell’interpretazione della realtà (ad es. il discorso scientifico, che è così autorevole da essere istituzionalizzato). Per questo oggi sentiamo spesso parlare di post-verità: “dove al fatto si sostituisce la narrazione e all’oggettività la prospettiva”.

Gli strumenti a disposizione

Insomma, non c’entrano solo la mancanza di scetticismo e le fake news in sé: l’arma più forte che abbiamo contro le notizie false è quella dell’ascolto delle diverse narrazioni. Per iniziare a uscire dalla propria bolla in rete e poter dire di ascoltare davvero tutti, oltre a una forte dose di buona volontà, ci sono degli strumenti utili e disponibili gratuitamente:

  • PolitEcho, è un’estensione di Google Chrome che analizza i bias politici dei nostri amici su Facebook e nel nostro news feed, assegnando un punteggio di appartenenza ad ognuno di essi basato sulle pagine Facebook a cui hanno messo Mi Piace (nello spettro liberal/conservatore americano) e confrontandolo col proprio;
  • FlipFeed, un’altra estensione per il browser Google, si integra con Twitter e permette di scambiare il proprio news feed con quello di un utente casuale che tramite il proprio uso della piattaforma dimostra di avere convinzioni politiche opposte;
  • Escape Your Bubble, ulteriore estensione per Chrome che suggerisce articoli del lato politico opposto al nostro (dopo aver scelto “chi vogliamo comprendere meglio” tra Democratici o Repubblicani) e li fa apparire nel news feed di Facebook (c’è anche la possibilità, se non si vuole usare Facebook, di riceverli via e-mail);
  • Esistono, negli Stati Uniti, servizi mediali che aggregano articoli e contenuti apertamente schierati per l’uno o l’altro partito americano, che però parlano al polo opposto: alcuni esempi sono Right Richter, una newsletter che arriva periodicamente nella posta elettronica e che riporta articoli di destra per simpatizzanti di sinistra; Today in Conservative Media offre un servizio simile; With Friends Like These è un podcast della giornalista liberal Ana Marie Cox, che intervista politici sia Democratici che Repubblicani enfatizzando l’ascolto delle opinioni e l’esplorazione ‘tranquilla’ delle diversità, piuttosto che lo scontro spettacolarizzante fra idee.

Per uscire dalla propria bolla, tuttavia, non sono obbligatori degli aiutanti esterni ai social media, né alla nostra cognizione. Se si sta attenti, è possibile costruirsi un news feed che ci permetta di ricevere contenuti da pulpiti opposti. Bisogna essere pazienti e utilizzare strategicamente il nostro Mi Piace.

Le estensioni browser e i servizi che ho elencato sopra a scopo esemplificativo sono solo i meno importanti degli strumenti da utilizzare per essere dei consumatori d’informazione avveduti: quelli fondamentali sono una buona disposizione all’ascolto e la consapevolezza, a mio avviso, che non si è mai abbastanza informati.

Lascia un commento