Verso la Conferenza sul Futuro dell’Europa. Un nuovo slancio per la democrazia europea.

Lo scorso 29 gennaio abbiamo seguito un incontro dedicato alla Conferenza sul Futuro dell’Europa organizzato dal Punto Europa di Forlì, un Centro di Documentazione Europea e Centro di eccellenza Jean Monnet sull’Unione Europea.

Sono intervenuti Giuliana Laschi e Michela Ceccorulli del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, e Riccardo Rovelli del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna. Hanno partecipato alla discussione Margherita Capannoli, Gianmarco Carra, Michelangelo Maglioni e Chiara Massarotto, Junior Expert del Punto Europa e studenti di Laurea Magistrale presso il Campus di Forlì.

Introduce la discussione Giuliana Laschi spiegando la natura della Conferenza sul Futuro dell’Europa, ovvero una proposta nata dalla Commissione Europea ed indirizzata, in primo luogo, al Parlamento e al Consiglio Europeo, ma anche a tutti i cittadini europei. 

La Conferenza punta principalmente ad un rilancio dell’Europa stessa, al fine di costruire un’Europa del futuro in grado di affrontare tutte le sfide irrisolte, sia passate che future.

La Conferenza sul Futuro dell’Europa è stata rinviata al 2021 a causa degli eventi causati dalla pandemia da Coronavirus che affligge il mondo intero. L’obiettivo di questo webinar è quello di approfondire e riflettere su alcuni degli obiettivi che tale conferenza si pone.

Diversi sono, infatti, i temi principali della Conferenza: lotta ai cambiamenti climatici ed ambientalieconomia al servizio delle personeequità sociale e uguaglianzatrasformazione digitale dell’Europapromozione dei valori europeirafforzamento della voce dell’Europa nel mondo e consolidamento delle democrazie europee. In sostanza, questa Conferenza dovrebbe portare ad un profondo cambiamento istituzionale, al fine di portare avanti un rafforzamento del processo di integrazione europea, riflettendo sul processo decisionale e sulla ripartizione delle competenze fra la stessa Unione e gli Stati Membri. 

Interviene successivamente Gianmarco Carra sul tema  “I giovani: la chiave per il futuro dell’Europa”, sottolineando l’importanza e la necessità di implementare le politiche giovanili all’interno dell’Unione Europea. Carra ritiene, infatti, che la visione dei padri fondatori del processo di integrazione europea fosse una visione lungimirante, lontana da ogni divergenza e diversità nazionale, che perseguiva lo scopo di consegnare un domani migliore alle generazioni future. 

Carra prosegue sostenendo la necessità di affiancare le politiche giovanili europee a quelle portate avanti dai singoli Stati Nazionali, focalizzandosi principalmente sull’Italia. Alcuni esempi di politiche a favore dei giovani, secondo questo Junior Expert del Punto Europa, potrebbero essere rappresentati concretamente da maggiori investimenti sull’istruzione e la ricerca, corsi di orientamento al futuro dei giovani già dalle scuole superiori e un potenziamento del progetto Erasmus e dei vari progetti di tirocinio. Egli ritiene, infatti, molto importante e funzionante a livello europeo il progetto Erasmus; una possibilità di scoprire l’Unione Europea e la cultura, scoprire e capire che l’Unione Europea è unita nella diversità e si interessa al futuro dei giovani. 

Infine, Carra, si appella a tutti i giovani degli Stati appartenenti all’Unione Europea, invitandoli ad interessarsi del proprio futuro senza lasciarlo progettare agli altri. Investire sui giovani cambierà il futuro. 

Chiara Massarotto focalizza, invece, il proprio intervento sulla necessità di rendere più forte la voce dell’Europa in tutto il mondo, approfondendo principalmente il tema della Politica Estera di Vicinato (PEV) spiegandone punti di forza e di debolezza. 

La PEV viene lanciata nel 2003 con lo scopo di rafforzare le relazioni positive con i vicini dell’Unione Europea. Ciò che salta immediatamente all’occhio, secondo Chiara Massarotto, è un problema strutturale della PEV stessa, in quanto vuole promuovere negli Stati del mondo i profondi valori democratici che guidano la stessa UE. “Ma – si chiede la Junior Expert – come può l’Europa pretendere il rispetto e lo sviluppo della democrazia dai suoi vicini, quando essa stessa è protagonista di un sostanziale deficit democratico?”. Fino a che l’Unione non sarà in grado di ristabilire ordine e democrazia al proprio interno e ricostruire la propria credibilità in quanto leader democratico nel mondo, allora non potrà pretendere ordine e democrazia dai Paesi vicini. 

Riformare la Politica Estera di Vicinato risulta essere una priorità, sia internamente che esternamente all’Unione Europea. Una riforma che deve ristabilire la credibilità dell’Europa agli occhi degli stessi cittadini europei e che deve necessariamente partire da una differenziazione di approccio, in quanto i vicini dell’Unione hanno interessi e necessità diverse e, di conseguenza, meritano attenzioni specifiche. Solo così, l’UE sarà in grado di rendere più forte e far valere la propria voce nel mondo. 

Prosegue, approfondendo il tema “Unione Europea e immigrazione” a livello politico e istituzionale, la ricercatrice Michela Ceccorulli

La migrazione è un fenomeno di portata globale, ma che molto spesso non viene riconosciuto come tale. “Come sta interpretando, gestendo e trattando il tema migratorio l’Europa?” si domanda la Ceccorulli. Esiste, a livello europeo, un documento specifico sul tema della migrazione approvato nel 2020: il Patto sulla migrazione e sull’asilo. In esso la migrazione viene interpretata ed analizzata soprattutto dal punto di vista europeo ma mancano, allo stesso tempo, riferimenti a temi particolarmente importanti legati a questo tema, come i Global Compact sui rifugiati e sulla migrazione o i riferimenti agli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

Cosa significa quindi pensare alle migrazioni in termini globali? Come si legano alle altre sfide? 

Analizzando il tema da un punto di vista istituzionale, spiega Michela Ceccorulli, è necessario focalizzarsi su due parole principali: solidarietà e Schengen. 

Nel Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo si evince chiaramente che uno dei principali obiettivi è quello di incentivare la solidarietà tra gli Stati Membri, distribuendo equamente il peso delle sfide da affrontare. Viene inoltre sottolineato che questo tipo di solidarietà è necessaria per sostenere e mantenere Schengen. Ma, che cos’è Schengen? Un territorio dove è garantita la libera circolazione delle persone e in cui, idealmente, non ci dovrebbe essere presenza di confini interni. Purtroppo, questo meccanismo si è incrinato a partire dal 2015, anno in cui si è sempre di più sedimentata una grande preoccupazione per gli Stati europei a seguito del tentativo di milioni di persone di entrare in Europa attraverso la rotta orientale. Questa grande preoccupazione è data dai cosiddetti movimenti secondari; ovvero gli spostamenti tra un Paese e l’altro dell’Unione. Fin dal 2015 la Commissione Europea si è attivata al fine di trovare strumenti di solidarietà per condividere con tutti i Paesi dell’Unione il peso di tali flussi migratori, strumenti che però si sono rivelati deboli ed insufficienti. Di conseguenza, si è progressivamente assistito ad una reintroduzione di controlli interni in maniera non coordinata e non notificata alle istituzioni europee, causando preoccupazione all’interno dell’Unione stessa anche in relazione ad un possibile collasso dell’area Schengen. Tutto ciò ha portato a prendere maggiori misure in ambito migratorio, rafforzando la barriera esterna europea, nel tentativo di ridurre quelle interne.

Ciò che non è stato fatto, invece, è pensare a come risolvere alla radice il problema dei movimenti secondari, pensando ad esempio a sistemi di solidarietà collettiva ed effettiva come la creazione di un sistema di asilo unico nell’Unione Europea che garantisca, indipendentemente dal Paese di arrivo, il riconoscimento internazionale del migrante. 

Michela Ceccorulli propone anche una riflessione molto attuale legata al tema della pandemia da Coronavirus che tutto il mondo sta vivendo, sostenendo che essa ha acuito profondamente i problemi legati alla migrazione. Per quanto riguarda le migrazioni intese come fenomeno globale è chiaro che il Covid ha portato conseguenze in molti paesi del mondo. Infatti, molte aree diventeranno più povere, ci saranno minori possibilità di mandare soldi alle famiglie di origine, meno turismo e una ridotta circolazione di persone e merci. Le situazioni già precarie come le zone con molti rifugiati o le zone di detenzione particolarmente affollate vedranno il rischio di un ulteriore peggioramento della situazione dovuta alla mancanza di distanziamento sociale e all’incapacità delle organizzazioni internazionali di intervenire. Tutto questo avrà profonde ripercussioni sulla migrazione e sulla mobilità delle persone. 

Il coronavirus ha un forte impatto anche su ciò che succede in termini di solidarietà all’interno dell’Unione e ha anche un impatto su Schengen in quanto è ormai solida la narrazione per cui il rafforzamento del confine esterno europeo possa permettere di smantellare gli ancora esistenti confini interni, che tuttavia permangono. La pandemia ha mostrato che così come le istituzioni europee pensano di poter riformare i temi della migrazione e dell’asilo non funziona e ha sottolineato la necessità di trovare soluzioni maggiormente efficaci. 

In conclusione, sostiene la Ceccorulli, nonostante si sia assistito ad una riduzione dei flussi migratori verso l’Unione Europea negli ultimi anni, i confini interni ad essa persistono solidamente. È dal 2015 che diversi Stati Membri come Danimarca, Francia e Germania richiamano la paura dei movimenti secondari e mantengono quindi i controlli ai confini. Oltre a questi si aggiungono i confini reintrodotti da parte di alcuni Stati a seguito della pandemia da Coronavirus. Il punto su cui è importante riflettere in termini di riforma istituzionale è Schengen, domandandosi perché ogni volta gli Stati ricorrano a soluzioni nazionali piuttosto che rivolgersi all’Unione Europea. 

Michelangelo Maglioni propone invece una riflessione sulla necessità di ripensare l’Unione Europea, soprattutto a seguito di una crisi sanitaria che ha sconvolto il mondo intero e focalizzandosi sulla necessità di creare un riformato sistema di welfare europeo sempre più basato su politiche sociali inclusive e attente a tutti i cittadini. 

La Conferenza sul Futuro dell’Europa potrebbe essere l’occasione di ripensare, rimodellare e rilanciare il processo di integrazione europea. Questo processo di riforma deve partire dal basso, ovvero dagli stessi cittadini europei ed equità ed uguaglianza sociale sono le due leve principali su cui costruire l’Europa del futuro. Auspicando ad un Europa migliore, più rappresentativa ed inclusiva, il Junior Expert del Punto Europa, richiama l’attenzione sull’articolo 8 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che dichiara in maniera esplicita che nelle sue azioni l’Europa mira ad eliminare le disuguaglianze nonché a promuovere la parità tra uomini e donne. Da queste poche e semplici parole si evince che l’Europa può e deve essere sociale. Le azioni intraprese fino a questo momento denotano, infatti, la volontà di approfondire la componente sociale dell’Unione. Tuttavia, il coordinamento delle politiche sociali degli Stati Membri è stato lento e faticoso e questo ha scongiurato il raggiungimento di una vera e propria convergenza verso un sistema di welfare a livello sovranazionale europeo.

Un esempio eclatante è il fenomeno della disoccupazione giovanile che ha visto, durante e dopo la pandemia, un’elevata crescita dei tassi di disoccupazione. Importante è, secondo Maglioni, tenere a mente che i giovani non sono solo numeri e cifre, ma che dietro a questi tassi di disoccupazione c’è una futura generazione di europei e quindi il futuro dell’Europa.  

L’occupazione giovanile è uno dei tanti aspetti in cui l’UE può ripensarsi in modo più sociale. Disuguaglianze sociali ed economiche rimangono e continuano ad essere presenti in ogni Stato dell’Unione e sono state ulteriormente evidenziate dalla crisi sanitaria. Al fine di non spegnere il coinvolgimento crescente dell’UE nel campo delle politiche sociali, è importante che si continui a sviluppare ed ampliare la componente sociale dell’UE stessa, affiancandola ad una semplificazione ed armonizzazione dei processi politico decisionali legati a questo settore. Così i benefici che questi processi comportano, potranno essere equamente distribuiti in tutto il territorio dell’Unione e sarà possibile arrivare ad un ampliamento della sfera di competenze dell’UE nella dimensione sociale a livello sovranazionale. 

Maglioni conclude affermando che la Conferenza sul Futuro dell’Europa potrebbe rappresentare il giusto slancio affinché possa ridursi la distanza tra Bruxelles e i cittadini europei anche a partire dal pilastro europeo dei diritti sociali e facendo si che innovazione e inclusionesviluppo e solidarietà, nonché accoglienza e progresso, diventino le linee guida dell’UE nel XXI secolo. È quindi importante che l’UE rivolga il suo sguardo e le sue ambizioni all’esterno, ma è anche necessario che abbia una proiezione altrettanto vasta e capillare al suo interno, così da potersi prendere cura al meglio dei suoi cittadini. 

La studentessa Margherita Capannoli approfondisce la tematica dei valori europei, citando l’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea ed entrando nello specifico della parità di genere: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’ugua­glianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appar­tenenti a minoranze”. Sono valori che potremmo definire globali e che rispondono al rispetto dei diritti fondamentali della persona. 

“Se all’interno dell’Unione questi diritti sono considerati inalienabili – si domanda la Junior Expert – cosa succede al di fuori? Sicuramente l’Europa si impegna affinché, anche nel resto del mondo, vengano rispettati questi diritti e lo fa in diversi modi. Analizzando, ad esempio, il caso della parità di genere, è possibile notare che l’Europa è impegnata nei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, ovvero obiettivi sostenibili di sviluppo tra cui è presente proprio la parità di genere, che dovrebbe essere raggiunta mettendo fine ad ogni forma di discriminazione e violenza nei confronti delle donne sia nella sfera pubblica che in quella privata. A livello internazionale l’Unione porta avanti questa battaglia anche attraverso altre modalità, ad esempio attraverso alcuni network internazionali e/o attraverso strategie per il raggiungimento della parità di genere come il Gender Action Plan 2; un meccanismo che controlla che la parità di genere sia presente in tutte le politiche dell’Unione, sia all’interno che all’esterno. 

Altra tematica che sta particolarmente a cuore all’Unione, afferma Margherita Capannoli, è lo stato di diritto e che è alla base della costruzione di un’Europa unita e può addirittura essere considerata la conditio sine quae non per la tutela di tutti gli altri valori fondamentali promossi e perseguiti dall’Unione, a cominciare dalla democrazia. Lo stato di diritto ha una storia di lunga data, in quanto fu la stessa Comunità Europea a prefiggersi l’obiettivo di accettare al proprio interno solo paesi di stampo democratico. Diversi sono gli strumenti europei per il perseguimento e controllo dell’esistenza della democrazia al proprio interno. Negli ultimi anni, infatti, l’Unione si è dotata di strumenti innovativi per monitorare la situazione democratica presente negli Stati Membri. Questi fanno riferimento a due fasi distinte: una di prevenzione e promozione e una di risposta in caso di violazione. Nella prima fase si ritrova il meccanismo europeo per lo stato di diritto, uno strumento piuttosto innovativo che consiste nella redazione di una relazione annuale sullo stato di diritto che monitora i principali sviluppi in questo campo in tutti gli Stati Membri dell’Unione. La relazione monitora i principali sviluppi in senso positivo e negativo passando in rassegna quattro pilastri: il sistema giudiziario, il quadro anticorruzione, il pluralismo dei media e il sistema di bilanciamento dei poteri. Tutti gli Stati sono invitati a fornire informazioni circa questi ambiti al fine di rilevare tempestivamente, se esistenti, eventuali problemi collegati allo stato di diritto. In caso di rilevazione di una violazione dello stato di diritto, l’Unione può applicare l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, uno strumento non sempre efficace e soprattutto particolarmente difficile da attivare in quanto necessita, per la sua attivazione, dell’unanimità del Consiglio Europeo. 

In conclusione, Margherita Capannoli, sostiene la necessità dell’Unione di andare al di là delle parole e di procedure complesse e in sostanza aleatorie e sottolinea la necessità di proporre misure tangibili e facilmente adottabili nel breve periodo per facilitare la stessa Unione nel perseguimento e nella tutela dei valori fondamentali della persona e dello stato di diritto.

Riccardo Rovelli approfondisce il passaggio e la relazione tra il bilancio dell’Unione e la Conferenza sul Futuro dell’Europa ripercorrendo il processo di integrazione europea e focalizzando principalmente l’attenzione su come è qualitativamente cambiato il bilancio dell’Unione Europea dalla sua nascita ad oggi. Gli Stati Membri sono sia coloro che domandano interventi di spesa all’Unione e sia coloro che, offrendo le proprie risorse, possono costituire parte del bilancio dell’Europa. 

“Perché le risorse economiche – prosegue Rovelli – devono fare il giro lungo e passare da Bruxelles, se gli Stati Membri hanno a disposizione risorse proprie?”. Per rispondere a tale quesito è importante analizzare di cosa si può e si deve occupare un bilancio sovra-nazionale.

Negli anni ‘60/’80 erano diversi gli aspetti principali di cui il bilancio si occupava: motivi di solidarietà tra Stati Membriesternalitàeconomie di scala e capacità contrattualemaggiori garanzie di buon utilizzo dei fondi gestiti dall’Unione e facilità di finanziamento.

Nel corso degli anni ‘Novanta/Duemila si è assistito ad un cambiamento qualitativo e ad un aumento esorbitante delle tipologie e delle modalità di intervento dell’Unione. Si è, ad esempio, assistito ad un ampliamento delle politiche regionali, in direzione di un miglioramento qualitativo: non è più importante solamente ricevere i finanziamenti per l’attuazione di tali politiche, ma è anche necessario che essi siano saggiamente impiegati e vengano effettuati piani di investimento e di cofinanziamento a beneficio non solo del singolo Stato, ma dell’intera Unione. 

Successivamente, la crisi del 2007/08 ha sconvolto l’Europa dal punto di vista economico e finanziario, portando con sé la necessità di ripensare al bilancio dell’Unione stessa. Infatti, nel periodo post crisi sono sorti nuovi strumenti di solidarietà assicurativa come, ad esempio, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) al fine di aiutare i Paesi dell’area euro in gravi difficoltà finanziarie.

Infine, il 2020 ha portato con sé grandi cambiamenti. Sono aumentate le politiche di solidarietà compensative ed assicurative, si è assistito ad una profonda trasformazione della gestione dei beni comuni europei soprattutto in vista di nuove sfide come il Green Deal e la Digital Transition, si sono evolute le modalità di finanziamento e di gestione dei fondi dell’Unione, come è accaduto ad esempio con gli eurobonds, fino al 2010 appannaggio di un’eresia e ora reale strumento nelle mani dell’Unione. 

Ciò che è più importante, secondo Rovelli, è che la Conferenza sul Futuro dell’Europa porti a riforme consistenti in ambito economico e finanziario. È sempre più necessario che sia gli Stati Membri che l’Unione dispongano di nuove risorse proprie e che vengano limitati quei meccanismi di unanimità che rallentano profondamente i processi decisionali dell’Unione Europea. È altresì necessaria la creazione di un nuovo e unico trattato che sia in grado di rispondere alle esigenze immediate e future dell’Europa ed anche un nuovo e unico bilancio che inglobi, al proprio interno, tutte le voci di finanziamenti e prestiti cui l’UE deve far fronte. 

Tutto questo è però irrealizzabile se si mantiene l’illusione che l’Unione Europea sia qualcosa di unico. L’UE non è mai stata unica di fatto, in quanto fin dal principio del processo di integrazione europeo si è assistito a livelli differenti di integrazione per ciascuno Stato Membro. 

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