“Nolite te bastardes carborundorum” The Handmaid’s Tale: società distopica e donne oggetto

Dal latino, “non consentire che i bastardi ti annientino”, si potrebbe riassumere con questa frase il romanzo e la serie televisiva The Handmaid’s Tale, Il racconto dell’ancella.

Vestite di rosso, con le alette bianche che avvolgono il capo (per poter guardare in basso, in segno di sottomissione e devozione) le ancelle rappresentano il fulcro della società di Gilead. Sono donne fertili, scelte e prese appositamente in quanto tali. Strappate alle proprie famiglie, dopo un percorso di indottrinamento e formazione tenuto dalle zie (condito da ogni sorta di violenza fisica e psicologica), vengono distribuite alle coppie dei comandanti e delle mogli come strumento per la procreazione.
E’ questo l’obiettivo cardine di Gilead, ripopolare la nazione sfruttando le ancelle, quindi le donne, alle quali è vietata ogni tipo di libertà. Per le donne come per le bambine, infatti, l’unica aspirazione concessa sarà il matrimonio e la procreazione.

alette bianche poggiate su un tavolo rotondo con alcune ancelle accanto

Margaret Atwood concepisce il suo romanzo distopico infatti, nel 1985, risentendo del clima cupo di incertezza politica e sociale dell’epoca. In quegli anni furono diversi gli avvenimenti e i cambiamenti importanti: l’ascesa al potere di Reagan, la fusione della centrale nucleare di Chernobyl, la scoperta dell’AIDS nonché la nascita del femminismo e l’introduzione della contraccezione che misero in discussione il ruolo e la libertà della donna.

Siamo in America, in un futuro recente, il mondo è martoriato da radiazioni atomiche e malattie che hanno fatto scendere il tasso di natalità.

Approfittando di un clima politico precario, con un colpo di stato, prende il potere un gruppo di estremisti religiosi che professano e predicano un ritorno ai valori tradizionali.
Instaurano quindi la repubblica di Gilead, uno stato totalitario monoteocratico, di totale ispirazione biblica, la cui società è divisa in caste invalicabili: i comandanti, coloro che detengono il potere, le mogli dei comandanti distinte dal colore blu degli abiti, le Marte ovvero la servitù al servizio dei comandanti, le Zie, e le ancelle.

Si tratta di una società figlia del fallimento delle istituzioni e dei poteri precedenti, alimentata dalla frustrazione e rassegnazione della popolazione in cerca di un capro espiatorio.
E’ un’ideologia che si è insinuata poco a poco nelle quotidianità delle persone, instaurando in maniera misurata e studiata quei cambiamenti che avrebbero portato poi all’istituzione della Repubblica di Gilead.

Ecco il primo avvertimento di Margaret Atwood: la società distopica e fittizia di Gilead come un potenziale scenario futuro. La scrittrice si prende gioco infatti del sistema politico di quel periodo, enfatizzandone i giochi di poteri e i ricatti.

Un regime quindi, basato sulla paura, sul paradosso, e sul controllo del corpo femminile.
I figli di Giacobbe infatti, riconoscono nelle donne la causa dell’infertilità: la troppo libertà concessagli, ha fatto si che le distogliessero da quello che è il loro unico dovere, procreare.

“Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.” (Pagina 41, Il racconto dell’ancella)

E’ proprio un’ancella a raccontarci questa storia, Offred (Difred) è il suo nome. Tra i ricordi e il presente, ricostruisce e ci racconta quello che è successo e quello che sta accadendo: le cerimonie, i riti, le restrizioni e le manipolazioni, ma soprattutto la fatica di rimanere presenti in una società che ti vuole annullare.

Margaret Atwood riesce infatti a descrivere una società progredita dove, tuttavia, coesistono concezioni retrograde e abiette che condannano la donna, tentando di annientarla sotto tutti i punti di vista. E’ infatti sorprendente come un romanzo scritto nel 1985 possa essere attuale, seppure in maniera diversa: la violenza sulle donne permane, il femminicidio è la parola chiave del nostro tempo.

Ancora più interessante è la recente uscita del sequel, “I Testamenti” ambientato quindici anni dopo, pubblicato solamente l’anno scorso, con un gap di ben trentatré anni rispetto al primo. Con il sequel, però, romanzo e serie tv prendono due strade diverse.

La serie tv, ideata da Bruce Miller, prodotta da Hulu e MGM e distribuita da noi su Tim Vision, si compone di tre stagioni (in produzione la quarta). Se la prima stagione infatti rimane fedele al primo romanzo, (a eccezione di qualche cambiamento di contorno) dalla seconda in poi la serie si distacca, mantenendo sempre la linea e i toni usati da Margaret Atwood, ma la trama viene infittita e approfondita. Nei Testamenti per contro, non abbiamo più un solo punto di vista né una sola voce narrante: si alternano la voce di Zia Lydia, uno dei personaggi cruciali, Agnes una bambina vissuta in piena cultura Gilead e Daisy un punto di vista esterno.

Rimane il fatto che serie tv e romanzo vantino premi prestigiosi: nove Emmy Awards, (tra cui costumi, regia, e scenografia) due Golden Globe (miglior serie drammatica e migliore attrice in una serie drammatica a Elizabeth Moss) Premio Arthur C. Clarke 1987 e il Governor General’s Award per il romanzo.

Si tratta di un viaggio psicologico e introspettivo, ironico, drammatico e mai noioso all’interno della società di Gilead, dove i riflettori sono tutti puntati sulle donne. E’una partita a scacchi tra chi detiene il potere e chi lo subisce. Una lotta continua alla sopravvivenza per le donne di Gilead, manipolate dal regime che tenta di metterle le une contro le altre. Sono donne ugualmente vittime: di Gilead, di uomini, di altre donne e di loro stesse. Anche carnefici, fautrici e promotrici dell’ideologia di Gilead che si ritrovano intrappolate nel loro stesso credo. Donne eterosessuali e omosessuali, mogli e madri, donne single, ingegneri e casalinghe, che si ritrovano tutt’a un tratto a non aver nulla, neppure la dignità. In questo percorso, spiccheranno figure diverse e punti di vista differenti, anche uomini, sinceri e corrotti.

Questa battaglia per non essere manipolate e risucchiate dal sistema di Gilead, è un vero elogio alle donne, che tra torture fisiche, psicologiche e morali resistono e non si piegano al volere del Regime. Un equilibrio precario tra la volontà di sopravvivere e la spinta a lottare per riprendersi i propri diritti, tra l’obbedire per rimanere vive e il trasgredire per riavere la propria libertà.

E’proprio questo il secondo avvertimento della Atwood, non permettere a nessuno di schiacciarti e perciò:

NOLITE TE BASTARDES CARBORUNDORUM.

Valentina Perronace

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