Esprimersi attraverso il corpo nel teatro. Il gesto come manifestazione dell’anima

Nella vita di tutti i giorni ognuno esprime in modo naturale i propri stati d’animo attraverso gli atteggiamenti esterni. Il nostro comportamento esteriore è inevitabilmente il riflesso di quello che accade dentro di noi. Questo fenomeno è stato da sempre ben noto agli attori, che l’hanno sfruttato fin dai tempi più antichi. Per questo la mimica è il canale principale della comunicazione teatrale, i gesti, la postura e la voce dell’attore sono ciò che dà vita alla rappresentazione.

Portrait of the mime in a make-up on black background

I movimenti dell’attore in palcoscenico hanno principalmente due funzioni: la prima è quella di raggiungere obiettivi, ad esempio camminare per spostarsi oppure chinarsi per raccogliere qualcosa. La seconda è quella di esprimere stati d’animo come amore o paura ed è questa la più complessa perché nel teatro comunicare un sentimento non è un fatto privato, ma un fatto professionale. In un dialogo tra due innamorati ciascuno dei due parla all’altro perché il pubblico si emozioni. Tra i due attori da un punto di vista personale può scorrere però la più assoluta indifferenza, o addirittura antipatia. Ma i loro sospiri, i loro gesti, i loro sguardi, il modo di tenersi le mani dovranno comunicare al pubblico uno struggente sentimento di tenerezza.

È per questo che spesso si associa il recitare alla finzione, allo smettere di essere se stessi per diventare qualcun altro, ossia il personaggio da interpretare. Se una persona finge, però è consapevole che ciò che prova e ciò che cerca di esprimere non coincidono. Esiste una contraddizione tra gli stati d’animo che sente e le azioni che compie. Si sente in un determinato modo, ma non si comporta di conseguenza, perché deve compiere delle azioni definite o pronunciare delle frasi stabilite. L’attore che si immedesima, invece, cambia interiormente. Non finge di essere un personaggio che non è, ma adotta lo stato d’animo ed il modo d’essere di quel personaggio. Ne risulta che l’attore non sta fingendo, perché in quel momento prova davvero le emozioni che lo spingono a comportarsi come stabilito sul copione.

Per questo motivo spesso è sufficiente che l’attore provi davvero le emozioni da rappresentare, si immedesimi nello stato del personaggio e l’espressione del suo viso, i suoi gesti, il suo intero atteggiamento si modellano automaticamente, rendendo la recitazione adeguata alla parte da interpretare. L’immedesimazione per questo è ritenuta un efficiente strumento di lavoro, utile per migliorare la prestazione sulla scena e riuscire ad esprimere attraverso il corpo sentimenti ed emozioni in maniera automatica. L’attore non è il personaggio, rimangono due cose distinte, ma nell’intervallo di tempo della rappresentazione, prova le sue stesse emozioni. Gli attori sono semplicemente degli strumenti per raccontare una storia.

Nel teatro, il gesto sta al vertice delle possibilità espressive, permette di comunicare direttamente i sentimenti presenti nell’anima. In particolare quello che solitamente ci si propone di fare è trovare un metodo per conciliare le esigenze di controllo e padronanza in scena con l’accensione emotiva necessaria a compiere quei gesti che sfuggono al controllo cosciente.

E’ necessario gestire il problema dell’associazione sensibilità-ragione per permettere la coesistenza di due categorie apparentemente inconciliabili: la coscienza di sé e la possibilità di produrre i gesti involontari, che, in quanto tali, non sono soggetti al controllo della ragione e coniugare in questo modo due aspetti: l’attore padrone di sé stesso, razionale e l’attore caldo e immedesimato.

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Ad occuparsi del nesso costante tra status interiore e manifestazione esteriore è François Delsarte, che arriva ad elaborare un articolato sistema per collegare le emozioni espresse in scena dagli attori ad un preciso codice di gesti, movimenti ed espressioni. Per Delsarte l’attore è in possesso di un ricchissimo vocabolario fonetico-gestuale che serve all’attore per comporre la partitura del personaggio affidatogli, ossia per riprodurre tutti i gesti volontari che gli status interiori del personaggio comportano.

Una volta definita la sequenza di movimenti del corpo e di inflessioni vocali l’attore dovrà riprodurla tanto spesso in sede di prove da farla fluire meccanicamente, senza pensare. Giunto a poterla ripetere in modo automatico, scatterebbe in lui l’immedesimazione. L’interprete dapprima distaccato e freddo inizierebbe a sentire realmente quanto precedentemente era mero segno esteriore. Una volta suscitata l’adesione emotiva scatterebbero anche i movimenti corporei involontari quali l’arrossire o il pianto.

L’attore quindi inizialmente progetta con estrema precisione la propria partitura mimica sulla base dell’interpretazione testuale preliminarmente compiuta; poi la ripete per un numero tanto elevato di volte da farla scorrere meccanicamente; infine interviene l’immedesimazione grazie alla quale è possibile compiere i gesti involontari. Riassumendo, la parte viene recitata dall’attore impiegando una sequenza base di gesti definita fin nei minimi particolari, che resta immutabile nel corso delle repliche e in un secondo momento ad essa si aggiungono quei movimenti inconsci affluenti direttamente dall’anima e resi possibili dall’immedesimazione.

In conclusione, solo se partecipe emotivamente l’attore può produrre anche i gesti involontari senza con questo rinunciare alla partitura prestabilita che il corpo continua a eseguire. Il merito dell’attore è quello di trovare un metodo per esprimersi in scena attraverso una gestualità autentica e sincera, in modo attendibile e veritiero che unisca insieme razionalità e sentimento.

Alice Berti

 

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