Rivolte in Turchia: una minaccia che si chiama Twitter

Siamo al quinto giorno di rivolte in Turchia e la tensione è ancora alta, infatti per le giornate di martedì 4 e mercoledì 5 sono previsti scioperi in appoggio ai manifestanti che protestano da venerdì contro il governo Erdogan. Ma in questo situazione, quasi totalmente taciuta o minimizzata dai media tradizionali locali, che ruolo stanno giocando i social media, ed i particolare Twitter?

gli scontri in turchiaSi è già incominciato a parlare di “Primavera turca”, per alcune somiglianze con la “Primavera araba” che nel 2011 ha portato, dopo una serie di rivolte civili in diversi paesi del  Medio Oriente, alla caduta dei vari regimi dittatoriali, con il contributo di molti social network, tanto da arrivare a parlare di rivoluzione Twitter e del potere democratizzante della rete.

Tutte queste teorie e belle speranze col tempo si sono sgonfiate ma ora tornato più attuali che mai. Lo stesso premier Erdogan stamani in un’intervista tv si è scagliato contro i social network, definendoli “una minaccia per la società”, o anche “la maledizione della società odierna”, dichiarando infine “ Oggi abbiamo una minaccia che si chiama Twitter”, che finora ha causato solo problemi perché pieno di menzogne.

il ruolo di twitter nella rivolta in turchia

Proprio Twitter è uno dei social più utilizzati per diffondere informazione, news, foto e promuovere le varie proteste di piazza, che ormai hanno raggiunto quasi 30 città in tutta la Turchia. È stata addirittura aperta una lista pubblica, Info Turchia,  costantemente aggiornata di informazioni sulla situazione, e non si contano gli innumerevoli hashtag creati appositamente, quali #turkey, #turchia, #istanbul, #gezi, #occupygezi, #occupyturkey e molti altri ancora. Anche il collettivo Anonymous si è unito alla battaglia lanciando #OpTurkey e riuscendo a mandare in tilt diversi siti governativi,

“Le rivoluzioni, le manifestazioni politiche e le grandi sommosse sono spesso il risultato del superamento della cosiddetta ignoranza pluralistica, ossia l’idea che tu sia l’unico, o uno dei pochi, a pensarla in un certo modo.” afferma Zeynep Tufekci, esperta di social media di origini turche, dichiarando:    “Le dimostrazioni di strada, in questo senso, sono una forma di social media poiché consentono ai cittadini di segnalare una pluralità ai propri concittadini, aiutando a interrompere l’ignoranza pluralistica (il punto dunque non è che il meccanismo di segnalazione sia o meno digitale, ma quanto sia visibile e social.)

Il ruolo fondamentale che sta svolgendo Twitter, unitamente ad altri social network e blog, nel dare voce alla protesta, coordinare le manifestazioni e diffondere informazioni è stato ulteriormente esaltato dalle dichiarazioni del premier di stamani, evidenziando così quale timore hanno spesso le dittature delle piattaforme social, impossibili da controllare e capaci di raggiungere un enorme quantità di persone, che poi riescono anche a mobilitarsi e trasportare le idee dalla rete alla realtà.

Il potere democratizzante della rete, c’è è si vede, i dubbi sono sulla sua portata e quanto potrà incidere in futuro, non se potrà incidere. Lo abbiamo intravisto con la Primavera araba e adesso non possiamo certo negarlo.

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