L’infanzia fa notizia: la tutela dei minori nel giornalismo raccontata attraverso 25 anni di cronaca

Yara e Sarah. Ma anche Serena, Loris, Miriam, Vittoria. Sono solo alcuni nomi di bambini balzati all’onore delle cronache, più o meno recenti, come vittime, protagonisti o testimoni di casi di cronaca nera. Negli ultimi anni programmi tv e settimanali specializzarti nel genere “giallo”  hanno conosciuto un vero e proprio boom, ma si è assistito anche a un parallelo interesse per la tutela di questi deboli protagonisti?
Parlare di tutela dei minori è tema assai spinoso: da una parte mostrarsi interessati al tema fa sempre fare bella figura ma, dall’altra, i diritti dei minori si intrecciano spesso con diritti di altri soggetti che, nella politica e non solo, sembrano avere un peso maggiore. Ad esempio, un giornale sarà combattuto tra il dovere di rispettare le regole deontologiche e l’interesse commerciale a raccontare il privato di un bambino per vendere di più.

giornata internazionale diritti infanzia

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Se è difficile anche solo battersi per questi diritti, figuriamoci come appare intricata la situazione sotto l’aspetto legislativo: in realtà le norme non mancano ma, considerato che le sanzioni sono ancora troppo deboli, i giornalisti tendono ad aggirarle, spesso recando scuse imbarazzanti, con il solo fine di fare scalpore e placare una fame di notizie che oggi, con i grandi mutamenti dei media, si è fatta sempre più forte.

La nostra Costituzione del 1948 garantisce la protezione “della maternità, dell’infanzia e della gioventù”, quindi delle categorie più deboli, nell’articolo 33 ma per tutelare i minori, soggetti in formazione e con una personalità ancora incompleta, c’è necessità di attenzioni particolari e per questo si è cercato di fare dei passi avanti.

Nel 1991 è stata ratificata (quindi trasformata in legge) la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, siglata a New York il 20 novembre 1989. Qui, per la prima volta, si sancisce che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli (…) l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. Può sembrare un’affermazione quasi banale ma in realtà non lo è: si è dovuti arrivare alle porte degli anni ’90 per convincere tutti gli Stati, esclusi USA e Somalia, gli unici a non aver accettato la Convenzione, dell’importanza di questo tema, mentre negli anni precedenti c’erano state altre Carte riguardanti i minori ma nessuna aveva mai sancito in modo così forte il bisogno di tutela.

Da allora, in Italia, è stato un susseguirsi di prese di posizione. Nel 1993 l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa (FNSI) hanno sottoscritto la Carta dei Diritti e dei Doveri, ampliamento di una precedente legge del 1963.

Questi testi contengono norme veramente interessanti: dalla tutela della personalità dei protagonisti dei fatti narrati fino al divieto di divulgazione di fatti privati se non di chiaro interesse pubblico, compresi nomi e immagini di congiunti dei protagonisti di vicende di cronaca.

Non si capisce quindi perché molti giornali abbiano ritenuto necessario pubblicare nei servizi dedicati al caso Melania Rea, uccisa dal marito nel 2011, la foto, il nome e l’età della figlioletta della coppia, Vittoria, probabilmente testimone inconsapevole dell’omicidio della madre. La scusa addotta (i parenti avevano concesso la diffusione dei dati e la bimba era troppo piccola per essere danneggiata dal caso) ha portato il Garante della Privacy a intervenire, ricordando che mentre i parenti non sono soggetti a nessuna regola, i giornalisti sì.

E dire che proprio un anno prima della Carta, gli stessi autori, insieme a Telefono Azzurro, avevano sottoscritto la Carta di Treviso, specifica per la tutela dell’infanzia, integrata nel ’95 da un Vademecum sui Minori. Tra le varie norme si ricorda l’anonimato assoluto per minori coinvolti in fatti di cronaca, eccetto nei casi di rapimenti e scomparse: tuttavia, anche in questi casi, va prestata attenzione alla “mania di protagonismo” dei parenti che potrebbero usare l’immagine del minore in modo strumentale (si pensi a Sarah Scazzi e al circo mediatico, fatto di comparsate e interviste, creato dai parenti, poi coinvolti nel delitto, quando la ragazza non era stata ancora ritrovata). Il punto più importante è però l’obbligo, da parte di tutti i media, anche digitali, di rispettare la Carta: per questo si è disposto il blocco d’urgenza per un articolo pubblicato su repubblica.it  riguardante un interrogatorio di Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, contenente il nome di uno dei figli (minorenne) e riferimenti alla sua difficile situazione scolastica.

“Sbagliando si impara” dice il detto: nel nostro caso non sembra. Le norme che abbiamo citato sono tutte dovute a famosi casi precedenti, come quelli di Serena Cruz e Miriam Schillaci. La prima, bimba filippina adottata illegalmente nel 1988 da una famiglia italiana, i Giubergia, ha portato alla norma che vieta sensazionalismi e speculazioni riguardo adozioni e affidi difficili: dopo essere stata protagonista delle prime pagine di diversi giornali è rimbalzata all’onore delle cronache 10 anni dopo quando, ancora minorenne, il settimanale Oggi ha pubblicato un servizio con il suo nome reale e le informazioni sulla nuova famiglia adottiva. Miriam, invece, aveva solo 2 anni quando morì per un tumore non riconosciuto dai medici: questi avevano però avvisato i giornalisti perché avevano scambiato i segni della malattia con quelli di violenze, trasformando il padre in un “mostro”. Inutile dire che nessun giornalista si è mai scusato con la famiglia: d’altronde, è stata la scusa, sono stati i medici a far partire il caso, raccontato in modo drammatico.

E oggi?  Sono passati ormai 25 anni dalla ratifica della Convenzione di New York, la Carta di Treviso è maggiorenne, di Serena e Miriam nessuno parla più: i nomi dei piccoli protagonisti sono cambiati ma la speculazione è la stessa.
A differenza di ieri, tv e giornali mostrano una tendenza crescente verso la drammatizzazione degli eventi, il sensazionalismo e il gossip: diventa naturale lucrare sulle storie dei bambini. E le sanzioni, purtroppo, si fanno attendere. Solo l’intelligenza del giornalista, la sua sensibilità e l’attenzione di chi vigila possono fare qualcosa: sperando che in un futuro non lontano il privato di un bambino smetta di fare notizia più della notizia stessa.

Elisa Menta

 

 

 

 

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